Note e riflessioni sulle scritture di amici e amiche

Alla ricerca di un senso nel mondo instabile e molteplice che poco conosciamo

Ai visitatori. Su questo blog (abbozzato nel 2010) pubblicherò le mie note di lettura sui testi editi o inediti. Nel caso di testi editi ritengo di poter esercitare liberamente il comune diritto alla critica. Per gli inediti, se necessario, chiederò prima l'autorizzazione ai diretti interessati. [E.A.]

15 luglio 2011

lunedì 25 giugno 2012

Su Gabriele Pepe
"Parking luna"

Gabriele Pepe nasce a Roma, dove pure risiede, nel 1957. Ha pubblicato due raccolte di poesie: Parking Luna (ArpaNet, 2002) e Di corpi franti e scampoli d'amore (LietoColle, 2004). Suoi testi e recensioni sono apparsi su varie riviste.


giugno 2005
Caro Gabriele,

gli anni Settanta  sono sprofondati anche nelle coscienze più vigili.  E tra noi, che siamo - per usare  le parole di Primo Levi - un po’ i «salvati» (i «sommersi» quasi nessuno li ricorda più)  o i «resistenti» - per usare le tue - c’è di tutto purtroppo e il peggio non sono solo  quelli «di buona famiglia» passati  con i vincitori. Questi ultimi, soddisfatti per  la pulizia compiuta e per aver cooptato i “migliori”, riescono a tenere sotto scacco anche molti resistenti. Lo dimostra lo sbando culturale si mille questioni: dal problema dei precari a quello delle scienze (vedi il risultato del referendum).

giovedì 15 dicembre 2011

Su Luca Lenzini
"Il poeta di nome Fortini"


 Luca Lenzini (Firenze, 1954) ha dedicato studi e commenti all’opera di Vittorio Sereni, Franco Fortini, Guido Gozzano, Giovanni Giudici, Attilio Bertolucci, Alessandro Parronchi ed altri autori novecenteschi. Dirige la Biblioteca della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Siena ed è membro del Centro studi Franco Fortini. Il poeta di nome Fortini è stato pubblicato nel 1999 da Piero Manni. Di recente (2008) ha pubblicato per la Quodlibet Stile tardo. Poeti del Novecento italiano. 


Cologno Monzese 23/30 marzo 2000

Caro Luca,
                       
                         a scanso di equivoci sul tenore di questa mia su Il poeta di nome Fortini, ti dichiaro  in partenza la mia ammirazione non convenzionale per il tuo lavoro. Sai bene che l’argomento del tuo studio - Fortini e la sua opera - mi suscita un coinvolgimento tormentoso, che ora si proietta anche sul tuo libro. Perciò metto le mani avanti: i miei giudizi risulteranno “tendenziosi”, a volte rischierò d’infastidirti, altre di esporre tutta la mia ombrosa inquietudine. Spero però nella possibilità di approfondire comunque il dialogo fra noi. E ti chiedo di rispondermi, quando puoi, con la stessa sincerità, senza esitare a correggermi, se ti sembrerà necessario.
Ecco per punti le mie osservazioni analitiche sui vari capitoli del libro.

1. Il momento di Fortini.

Secondo me, il momento di Fortini, auspicato da Luperini in quell’intervento del 1985 (5) non è mai cominciato. Il consenso per Composita solvantur (217) mi è parso passeggero, legato alle circostanze della sua morte; e al di fuori della cerchia ristretta degli amici-critici di Fortini non è emersa nessuna maggiore attenzione alla sua figura di poeta. Né intravedo il tempo in cui sarà possibile usare - a livello pubblico, politico e non cenacolare e minoritario - quei suoi giacimenti di futuro.  Te lo dico con schiettezza e preoccupazione.

giovedì 6 ottobre 2011

Su due scritti
di Romano Luperini e Emanuele Zinato

 *Romano Luperini insegna Letteratura italiana alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena. Ha pubblicato, tra l'altro, La scrittura e l'interpretazione. Storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà e delle letterature dell'Occidente (in collaborazione con Pietro Cataldi, Palermo 1999), Breviario di critica (Napoli 2002) e L'autocoscienza del moderno (Napoli 2006). Dirige le riviste di critica e teoria della letteratura "Allegoria" e "Moderna". E' autore di monografie su Montale, Tozzi, Verga e Pirandello. Ha pubblicato due romanzi: I salici sono piante acquatiche (2002) e L'età estrema (2008)

* Emanuele Zinato (Venezia 1958) lavora presso il Dipartimento di Italianistica dell'Università di Padova. Ha pubblicato saggi su questioni di critica e teoria della letteratura e su numerosi scrittori del secondo Novecento (Calvino, Vittorini, Fortini, Primo Levi, Bilenchi, Zanzotto, De Signoribus). In contatto con Paolo Volponi fin dal 1990, ha curato due raccolte di prose volponiane (Scritti dal margine, Manni, Lecce 1994; Del naturale e dell'artificiale, Il lavoro editoriale, Ancona 1999) e la raccolta delle Poesie 1946-1994 (Einaudi, Torino 2001) e ha pubblicato la monografia Volponi (Palumbo, Palermo 2001)

 

Su  Romano Luperini, Cinque tesi sull’insegnamento della letteratura in L’ospite ingrato I, 2005  e Emanuele Zinato, Dei confin idella letteratura. Le prospettive di una didattica interdisciplinare, in Allegoria, 37, 2001 (e in Chichibìo, n. 39) 

 

Letteratura, studi postcoloniali e didattica. Una riflessione del 2007.

In Appendice un carteggio Abate-Zinato.

 

Vorrei qui dichiarare la mia simpatia per gli attuali studi postcoloniali e difendere il valore della loro contestazione nei confronti delle “nostre” letterature. Esporrò perciò brevemente alcune perplessità sulle cose intelligenti ma diffidenti (mi pare) scritte in proposito da Romano Luperini (Cinque tesi sull’insegnamento della letteratura in L’ospite ingrato I 2005) e  da Emanuele Zinato (Per distinguere il bimbo dall’acqua sporca in Chichibìo n. 39, sett.-ott. 2006).

Nelle sue tesi ampiamente condivisibili, Luperini al punto 2 tocca il tema dello «studio delle letterature straniere» e propone «un canone interculturale» che prevede uno studio a tre livelli delle letterature straniere: dalle più vicine per storia e lingua (autori europei, autori occidentali «particolarmente dell’America del Nord e del Sud», p. 97) alle più lontane (autori africani e asiatici).Le mie perplessità insorgono quando Luperini giudica più complesso estendere lo studio agli autori del terzo livello - quelli «di lingue non occidentali»  e pur affermando che «una letteratura senza frontiere è il preludio migliore a un mondo senza frontiere» (p.98) finisce - a mio parere - per ridimensionare quel ”principio di presunzione di eguale valore” dell’antropologo Charles Taylor da lui citato, con questa dichiarazione:  esso «non deve significare rinuncia a un’identità culturale, ma suo allargamento», p. 99).  Per cui si tratterebbe di «avere una identità nazionale ed europea forte» e, allo stesso tempo, di «nutrirla dialogicamente con contributi provenienti da altri mondi e da altre culture» (p. 99).

mercoledì 28 settembre 2011

Su Giancarlo Majorino
"Il viaggio nella presenza del tempo"

Agosto 2009
IL VIAGGIO DI UN «CETOMEDISTA»
Appunti di critica dialogante
di Ennio Abate 

O Dio, se si potesse leggere nel libro del destino
e vedere come il volgere del tempo
appiana le montagne, e i continenti,
stanchi di restar solidi, si stemperino
nel mare; e veder altre volte
che la cintura costiera dell’oceano
 è troppo larga per i fianchi di Nettuno; come i giochi
 del caso e i mutamento colmino la coppa
 dell’instabilità con liquori diversi!

Su Giancarlo Majorino*
"Poesie e realtà 1945-2000""


* Giancarlo Majorino (Milano, 1929). Poeta e critico letterario. Ha insegnato storia e filosofia nei licei ed è ora docente di Estetica presso la Nuova accademia di belle arti e presidente della Casa dell poesia di Milano. Tra le sue numerose pubblicazioni: La capitale del Nord (Schwarz, 1959), Autoantologia (Garzanti 1995), Posie e realtà 1945-2000 (Tropea, 2000) e Viaggio nella presenza del tempo (Mondadori,2008). 

 

 La poesia da lontano.


Qualche ragionamento su Poesie e realtà 1945 - 2000 di Giancarlo Majorino.


 Poesie e realtà 1945 - 2000 di Giancarlo Majorino è un saggio sulla poesia italiana del secondo Novecento. Majorino vi ha lavorato per cinque anni, mettendo alla prova le sue coordinate critiche da varie angolazioni e a più riprese non soltanto nella scelta degli autori e dei testi, ma in affreschi periodizzanti storico-culturali e in calibrati giudizi particolari disseminati senza preoccupazioni scolastiche, come in una ininterrotta chiacchierata.

Su Luciano Amodio*
Alcuni saggi apparsi su "Manocomete"

* Luciano Amodio (Milano 1926-2001) filosofo. Funzionario dal 1947 al 1981 della Banca Commerciale Italiana, collaborò a "Il Politecnico" di Vittorini, a "La Cittadella" di Bergamo e a "Discussioni". Nel 1955 fu co-fondatore  di "Ragionamenti" e nel 1965 de "Il Corpo". Traduttore con Franco Fortini di Le Dieu chaché di Lucien Goldmann (1961), nel 1963 pubblicò la prima antologia italiana di Rosa Luxemburg, Scritti scelti e nel 1980 un Commentario al primo Lukács.

aprile 2003
Un Giano bifronte, un incontro mancato[1]

Ho conosciuto di persona Luciano Amodio a metà anni Novanta, dopo la completa rasatura a zero in questo paese di qualunque fermento critico vagamente “rivoluzionario”. L’ho incontrato nelle riunioni allargate  di Manocomete, la rivista che Giancarlo Majorino ha animato a Milano tra 1994 e 1995, generoso ma  breve tentativo di  rimettere a pensare assieme, in uno spazio spostato (memore di un precedente: Il corpo), intellettuali di varie competenze e generazioni, alcuni attivi già negli anni Sessanta, altri dopo il 1968.

Su Armando Tagliavento*
Dentro l’immigratorio italiano.
Introduzione alle sue scritture


* Armando Tagliavento ( Fondi 1930). Scrittore irregolare e misconosciuto.

gennaio 2006

Ieri sono andato a far visita ad Armando Tagliavento. Per me  è rimasto il bidello-scrittore, anche se ora è in pensione e nella vita (Armando è nato nel 1930) prima di “ficcarsi nella scuola” ha fatto il manovale, il fattorino, il disoccupato, il capomastro. Stava per diventare persino capufficio di una ditta di materiali edili ed ha sfiorato una carriera di scrittore di professione. Infatti, quando negli anni Settanta la cultura italiana ebbe un ritorno di  fiamma populista-neorealista (ricordo la letteratura “operaia”: Brugnaro, Guerrazzi, la rivista Abiti-lavoro...), Tagliavento ottenne un effimero successo come narratore: nel 1973 Feltrinelli gli  pubblicò nella collana dei Franchi narratori (patron Goffredo Fofi, che firmò la prefazione) un romanzo, Tra fascisti e germanesi. Vi narrava - con brio, spudoratezza e crudezze macabre quasi malapartiane - le sue avventure per sopravvivere durante gli scontri che insanguinarono l'Italia fra il '43 e la liberazione.

venerdì 26 agosto 2011

Su Romano Luperini
Il professore come intellettuale
(Lupetti-Manni, Lecce 1998)

                                                                      dicembre1998/24 gennaio 1999

 Caro Luperini, 

                        ho letto il tuo Il professore come intellettuale e qui di seguito vorrei esporti e approfondire alcuni temi parzialmente toccati in una lettera a Franco Marchese (qui) […]. Del tono a volte polemico e delle eventuali mie incomprensioni e forzature del tuo discorso spero mi scuserai. In seguito ci saranno – mi auguro - occasioni per approfondire con te ed altri la tua comunque preziosa e civile proposta. 

 

La scuola

 Non riesco a parlare dei problemi della scuola d’oggi strappandomi dal cervello le analisi e le proposte che circolarono tra studenti e insegnanti nel periodo che va dalla contestazione del ’68 al ritorno all’ordine avvenuto fra anni ‘80 e ’90. Nel tuo libretto la questione, che con qualche approssimazione una volta veniva detta delle strutture scolastiche, non può essere in primo piano. Ma è presa ancora in considerazione? Tu parli della responsabilità dell’«egemonia dello strutturalismo e della semiologia» (23) e dell’«incapacità sia degli organi di governo sia dell’università di porsi concretamente il problema della formazione e dell’aggiornamento degli insegnanti» (24), ma mi pare che consideri poco il carattere distruttivo o restaurativo delle scelte economiche e politiche degli ultimi trent’anni, né accenni più alla rottura del ’68; mentre le conseguenze delle trasformazioni del lavoro (avvenute con l’informatizzazione) vengono trattate solo  alla voce «cambiamento dei modi di percezione» (22).

martedì 23 agosto 2011

Su Romano Luperini*
L'incontro e il caso (Laterza 2007)

 *Romano Luperini insegna Letteratura italiana alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena. Ha pubblicato, tra l'altro, La scrittura e l'interpretazione. Storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà e delle letterature dell'Occidente (in collaborazione con Pietro Cataldi, Palermo 1999), Breviario di critica (Napoli 2002) e L'autocoscienza del moderno (Napoli 2006). Dirige le riviste di critica e teoria della letteratura "Allegoria" e "Moderna". E' autore di monografie su Montale, Tozzi, Verga e Pirandello. Ha pubblicato due romanzi: I salici sono piante acquatiche (2002) e L'età estrema (2008)

Giugno 2007 
(Con piccole revisioni dell'agosto 2011. 
La versione precedente si legge sul sito di Romano Luperini qui)


 

Sotto il dominio del caso. Questo il destino dell’uomo occidentale?

di Ennio Abate

 

Il tema dell’incontro con l’altro, quasi sempre tra un uomo e una donna e spesso del tutto immaginario, è al centro di questo libro. Luperini vi studia la funzione narrativa che esso svolge in undici opere, che sono dei veri monumenti del grande romanzo borghese sviluppatosi nei «paesi industrializzati dell’Europa dell’Ovest» (p. 10) e nel periodo che va dal primo Ottocento al 1922 circa, da Luperini definito «della piena modernità e della svolta modernista» (p. 8). In ordine di trattazione troviamo capitoli riguardanti Manzoni, Flaubert, Maupassant, Svevo, Proust, Musil, Verga, Joyce, Pirandello, Tozzi e Kafka.  Solo rapidi cenni sono dedicati (per ora) al resto del Novecento. Perciò il baricentro del saggio è, di fatto, nella storia europea che precede l’avvento dei fascismi.

domenica 21 agosto 2011

Su Giorgio Linguaglossa*
La nuova poesia modernista italiana

* Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Poeta, romanziere e critico. È autore di tre libri di poesia: Uccelli (1992), Paradiso (2000) e La Belligeranza del Tramonto (2006) e dei  romanzi: Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio (2005) e Ponzio Pilato (2010). Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi; e sue poesie sono state tradotte in spagnolo, inglese e bulgaro. Dal 1992 dirige la collana di poesia delle Edizioni Scettro del Re di Roma. Nel 1993 ha fondato il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» e nel 1995 ha redatto e firmato con altri poeti il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica». Numerosi sono i suoi saggi e interventi di critica sulla poesia del Novecento  apparsi su varie riviste («Polimnia», «Hebenon», «Altroverso», «Capoverso», «Nuova Marginalia») e sul sito dell’editore LietoColle. Oltre a La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2009) è appena uscito Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010).

26 luglio 2010

VICINANZE E DISTANZE. Lettera riepilogativa per me stesso e per Giorgio Linguaglossa su «La nuova poesia modernista italiana». La lettera è apparsa sui siti di POLISCRITTURE e di LIETOCOLLE. Si legge al seguente link:

Ennio Abate a Giorgio Linguaglossa 


sabato 30 luglio 2011

Su Franco Marchese*
Bozza editoriale n.1 di Chichibìo*

* Franco Marchese  ha insegnato  in un liceo scientifico di Palermo. E' coautore di manuali di letteratura italiana e condirettore di "Chichibìo".



Cologno Monzese 19 dic. ’98

                                                                                           

Caro Marchese,

                        […]sottopongo alla tua attenzione  alcune critiche, che non ebbi modo di esporre nella riunione del gruppo fondatore di Chichibìo a Firenze e che la lettura della tua bozza di editoriale mi induce a ripresentare. La nostra collaborazione è appena agli inizi, ma spero che la mia schiettezza non la turbi o impedisca.

Comincio col dirti che accolgo  a malincuore il titolo scelto per la rivista.

Riconosco che Chichibìo è nome-simbolo di letteratura italiana, personaggio noto ad ogni insegnante d’italiano e perciò coerente - come tu dici - con «un’idea alta dell’insegnamento dell’italiano» e con l’intento di non «disperdere l’eredità di un umanesimo - non fossile, non vacuo». Esso però, secondo me, è anche un simbolo negativo: è personaggio che accetta in maniera incondizionata la gerarchia servo-padrone, che a me pare inseparabile dalla tradizione umanistica. Chichibìo, infatti, è figura troppo appagata e del tutto conclusa in un intelligente servilismo. Non contesta al signore il diritto - suo e dell’allegra brigata nobiliare – di banchettare e farsi servire la gru. Ne sottrae, e di nascosto, solo una coscia. E la battuta intelligente e ironica con cui riesce infine a farla franca ribadisce la sua situazione di sottomesso. Ora mi chiedo: è solo o proprio a questa tradizione che possiamo oggi rifarci? Non ci sono nella letteratura italiana servi quantomeno più audaci? Ma, la decisione è presa, non sto a recriminare; e passo al discorso di presentazione da te delineato nella bozza.

Su Carlo Oliva*
Lettera
a una studentessa
Savelli, Roma 1978

* Carlo Oliva (Milano 1943). Scrittore e giornalista. Ha insegnato lettere antiche e moderne nei licei, scritto in passato su riviste “storiche”, tra cui S (foglio situazioni sta degli anni ’60), Ombre rosse, Quaderni  piacentini, Linus e A-rivista anarchica. Si è occupato di ideologia del linguaggio, di gialli e narrativa popolare in genere.  Collabora da vent’anni con Felice Accame nella trasmissione Caccia all’ideologico quotidiano a «Radio Popolare di Milano».Altre notizie sul sito Carlo Oliva

I nostri antenati
La tentazione di Orbilius
Intervista di Ennio Abate a Carlo Oliva (1999)
  
-        Partiamo dall’inizio. Come nacque Lettera ad una studentessa?
-        Questo libro era nato da un’idea di Luigi Manconi. Lui allora era nella direzione editoriale della Savelli e collaboravamo insieme ad Ombre rosse. Nella collana da lui diretta (“Attualità politica”) uscivano testi politici d’esplorazione, di frontiera. E questo libretto era stato pensato come una parodia. Ci pareva che le argomentazioni allora correnti sulla scuola, sul lavoro dell’insegnante, sullo studente  fossero deboli. Ma altrettanto fiacco ci pareva il punto di vista dei tradizionalisti. Insomma non erano convincenti né gli uni né gli altri. Volemmo allora sviluppare per eccesso le posizioni dei tradizionalisti d’allora, per mostrarne appunto la debolezza. Oltretutto  in quegli anni – siamo attorno al ‘78‘79 –  il movimento degli insegnanti si trovava su un crinale: stava per rinunciare alle posizioni antiautoritarie e libertarie e volgersi alla riscoperta del proprio ruolo e al recupero della figura tradizionale.
-        Orbilius è dunque una maschera del docente di allora.
-        Sì, sia del vecchio insegnante che non aveva capito niente del ’68 sia di quello che cominciava a stancarsi e ripensava la propria professionalità in termini tutto sommato tradizionali. Il nome classico aveva questo significato. Orbilius è una figura storica, citata in una delle Satire di Orazio, che si lamentava di aver dovuto studiare sotto la sua egida autori per lui arretrati e poco interessanti (e di essere preso a frustate quando non lo faceva).

Su Giuseppina Broccoli*
Alcuni inediti

*Giuseppina Broccoli ( Sant'Ambrogio Sul Garigliano, Frosinone, 1958). Nata in una famiglia di emigranti, ha studiato  alla "Sapienza" di Roma senza laurearsi, viaggiato e lavorato a Oxford. Vive e lavora ora a Milano e le piace scrivere.

16 maggio 2010

Cara Giuseppina,

visto che hai fiducia in me, mi permetto innanzitutto di scherzare. Ti do subito un consiglio: sbarazzati (o tieni a bada, se non ce la fai) l’auto-umiliazione. A parte il fatto che oggi il cuore è  sbeffeggiato e viene esaltato il fegato o lo stomaco fornito di pelo, perché mai il «cuore degli impiegati» dovrebbe “sentire” meno - che so - di quello dei professori o di altre persone? E poi ancora: ma hai  misurato «l’altezza» di tutti noi (di Moltinpoesia) per  dire che sei più in basso? E lo sforzo di chi si sente “piccolo” è davvero quello di competere coi (supposti) grandi?

Su Marco Ceriani*
"Memoriré"
Lavieri Editore 2010


*Marco Ceriani (1953). Poeta. Ha pubblicato, oltre a Memoriré,  Sèver (Marsilio, 1995) e Lo scricciolo penitente (Libri Scheiwiller, 2002). E’ traduttore di Vladimir Holan e critico  di poesia  su  varie riviste.

8 gennaio 2011
 

Ho ricevuto subito due commenti viscerali e respingenti appena ho fatto circolare la mia proposta di leggere alcune poesie di Marco Ceriani, il poeta oscuro (poco noto, “che non si capisce”), in vista della presentazione della sua ultima raccolta Memoriré Lunedì 10 gennaio [2011] alla Libreria popolare di Via Tadino 18 a Milano.
Non mi sono scandalizzato. Anch’io non capisco queste poesie. Sono lontane dal mio modo di scrivere e dall’idea più o meno precisa che mi sono fatto della poesia da scrivere. Ma non  ne faccio motivo di vanto (né di colpa). Mi sento invece incuriosito, sfidato e spinto a cercare in qualche maniera una strategia d’avvicinamento a una ricerca tanto insolita, diversa.
Ceriani mi appare come  un uno che la poesia se la fa per conto suo, un eremita, un mistico, uno scalatore  che preferisce trovare e praticare  da solo percorsi sulle montagne  più ardue.

Su Biagio Cepollaro*
Un’intervista (mancata)
sulle sue scritture
giugno 2006

*Biagio Cepollaro ( Napoli, 1959). Poeta e teorizzatore del “postmoderno critico”. Ha fondato con altri la rivista sperimentale Baldus (1990-1996)  e promosso il Gruppo ’93. Dal 2004 ha avviato, sul suo sito ufficiale (http://www.cepollaro.it/), le edizioni on line di Poesia italiana E-book  e altre numerose iniziative di poesia e critica.

 

 

1.
È sbagliato pensare che nella tua poesia la formazione letteraria (letture, partecipazione a gruppi poetici, ecc.) abbia avuto un maggior peso rispetto alla tua esperienza della “gente comune”, cioè distante o più estranea all’immaginario letterario?

2. 
Lo scriba. Dai più volte  «un autoritratto sfregiato» (Luperini) dello scrittore contemporaneo. Majorino, invece, in Prossimamente  ne parla ancora con convinzione (e mie perplessità) come di un protagonista, un «eroe scrivente».  Non ti pare che, anche nell’area della scrittura “di resistenza” alla Foucault (escludo i commercializzati) - sia che si usino toni dimessi o forti - ci si ostini a testimoniare più la sofferenza e il disagio degli scrittori che dei non scrittori? che, insomma, gli scrittori restino ai margini sia del potere che opprime che della sofferenza dei molti che lo subiscono o vi si adattano?

giovedì 28 luglio 2011

Su Pietro Cataldi*
Perché leggere Dante (oggi)?
in Allegoria n. 31 Aprile 1999

* Pietro Cataldi (Roma, 1961) è professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea all'Università per stranieri di Siena. È nel comitato direttivo di «Allegoria». Tra le numerose pubblicazioni: Montale (1991), La strana pietà. Schede sulla letteratura e la scuola (1999), Parafrasi e commento. Nove letture di poesia da Francesco d’Assisi a Montale (2002), Dante e la nascita dell'allegoria. Il primo canto dell'Inferno e le nuove strategie del significato (2008), usciti tutti presso Palumbo, Palermo; Le idee della letteratura. Storia delle poetiche italiane del Novecento (La Nuova Italia Scientifica e poi Carocci, Roma 1994 e poi 2011). In collaborazione con R. Luperini ha pubblicato numerose opere scolastiche, tra cui La scrittura e l'interpretazione. Storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà e della letteratura dell'Occidente (3 voll. in 4 tomi, Palumbo, Palermo 1999) e un commento antologico alla Commedia dantesca (Le Monnier 1989, n. ed. 2009).

Basta Dante (oggi)?
Una risposta al Perché leggere Dante (oggi)? di Pietro Cataldi.[1]

Non è per vocazione all’irriverenza se diffido di quasi tutti i discorsi sui valori, che di solito si aggirano in nebulosità idealistiche buone per tutte le stagioni e tutti i luoghi e quasi mai si misurano con le pratiche individuali e sociali, preferendo volare come aquiloni inafferrabili sempre alto, troppo alto.
Quando poi a parlare di valori in tempi grami come i nostri e a riproporcene uno, Dante addirittura, è uno studioso che stimo come Cataldi, mi trovo spiazzato e imbarazzato nell’esprimere il mio dissenso almeno per tre buone ragioni:
1. Cataldi si riferisce ad un contesto reale, alla scuola d’oggi; e ha presente figure concrete: studenti riottosi, ministri pragmatici, insegnanti presi tra due fuochi (gli studenti e i programmi ministeriali);
2. rimanda a un monumento quasi inattaccabile come Dante, dal quale per secoli i discorsi epocali o contingenti fatti sui valori hanno succhiato energia universale;

sabato 23 luglio 2011

Su Franco Tagliafierro*
Il palazzo dei vecchi guerrieri
Lampi di stampa, Milano 2009

*Franco Tagliafierro (Teramo, 1941). Narratore. Ha pubblicato tre romanzi: "Il Capocomico", "Strategia per una guerra corta", "Il palazzo dei vecchi guerrieri"; e "Racconti a orologeria".

 

12 dicembre 2010 (anniversario della strage di Piazza Fontana)

 


 

Il Palazzo. Ah, quale simbolo!


1. Un romanzo amarissimo

 

Il palazzo dei vecchi guerrieri è per me un romanzo amarissimo. Perché, vecchio quasi quanto i personaggi protagonisti, vi riconosco senza fatica, pagina dopo pagina, gli echi disastrosi e deprimenti della storia politica italiana del secondo Novecento. E perciò, malgrado le sapienti e garbate velature ironiche (e autoironiche) del narratore, non esito a collocarlo nel filone pessimistico del romanzo italiano.  Magari unicamente per la scelta finale del  protagonista, Macario Bentivegna (nome di comico e cognome augurale di speranza),  di fare da solo tabula rasa - e per «legittima difesa», e con l’esplosivo - del Palazzo a cui era così affezionato. Gesto che l’avvicina all’anonimo protagonista de La vita agra di Bianciardi, il quale voleva far saltare in modi simili il «torracchione»; e prima ancora al protagonista de La coscienza di Zeno di Svevo, che s’attendeva la guarigione dell’umanità malata da «una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni».

Su Sandro Briosi
Simbolo
La Nuova Italia, Firenze 1998


27 giugno 1997
Caro Sandro,
                    ho letto (due volte) il tuo saggio in dischetto sul Simbolo, appassionandomi su varie questioni […]. Ora in questa lettera, districandomi dal labirinto concettuale in cui mi hai guidato e dai duelli con semiologi neopositivisti, antropologi e filosofi pansimbolisti, critici lacaniani e benjaminiani, cerco di precisare,  a mio uso e consumo innanzitutto, le zone di sintonia, di simpatia o di perplessità su quanto scrivi.

 Mi ritrovo o simpatizzo in gran parte con la tua lucida e responsabile delimitazione del campo:  riconoscimento dell’emotività come  fonte del senso del simbolo (6),  base della costruzione d’immagini nella poesia  e di una comunicazione legata al vissuto personale in contrasto sia con la concezione puramente razionale e ultracodificata dei positivisti-semiologi  sia con il pansimbolismo. Anche per il fatto di non avere conoscenza diretta dei  tanti autori da te esaminati, la mia lettura si è lasciata attirare da brani, singole affermazioni che smuovevano in me curiosità e rimandi a nozioni o problemi afferrati altrove.

Su Sandro Briosi
Introduzione agli atti
del convegno "Il simbolo oggi"
in "L'immaginazione riflessa" n. 1 1995


                                                                                                   Cologno Monzese 14 feb. ‘97
Caro Sandro,
                 rileggo, sulla rivista L’IMMAGINAZIONE RIFLESSA,  la tua introduzione agli atti del convegno   Il simbolo oggi del ‘94 e spulcio fra gli interventi, cercando di capire  cosa si muoveva nella cerchia dei partecipanti, perché vi partecipai, cosa inseguivo con le mie domande ai relatori e, infine, cosa  ci faccio nella tua Associazione... Orientandomi alla meglio posso simpatizzare (da tifoso culturale?) per l’”antiplatonismo” di Brioschi, afferrare alcune delle “questioni” interne (“tra fenomenologi”) o ritrovare “schieramenti” (quello  tuo e quello di Romano Luperini.. ). Ma poi sono costretto a chiedermi: l’‘interdisciplinarità’ che senso può avere per me, che sono fuori o ai margini delle discipline? […]

giovedì 21 luglio 2011

Su Maria Maddalena Monti*
Voci e Passi
EdiGiò, Pavia 2011

* Maria Maddalena Monti è stata insegnante nelle scuole superiori, collabora con circoli e associani culturali e partecipa al Laboratorio Moltinpoesia.

Fin dal titolo (Voci e Passi), dall’immagine scelta in copertina (la pastorella assorta che Pissaro dipinse in un Ottocento che all’elegia ancora concedeva uno spazio), dalla dedica (al marito), questa raccolta di Maria Maddalena Monti segnala  la sua fisionomia di fondo: una sensibilità  di donna che si apparta nel familiare tra  cose e persone amate (a volte trapassate) e invita  a una attesa sublimante, pacatamente religiosa.
Di chi saranno le voci o i passi?  Sfogliando l’indice e le  sessanta paginette, si capirà presto: le voci sono per lo più quelle della natura; i passi (consueti) quelli ansiosi della bimba Laura (p. 17), che ha scoperto coi suoi  occhi più nuovi  il nido dei merlottini, o di altre figure comunque care.